Vertenza Arcelor Mittal. Parla il segretario generale della CGIL di Taranto, Paolo Peluso
“Taranto torni ad essere il punto di osservazione indispensabile nella vicenda ex ILVA”.
La sentenza del TAR che legittima, sul piano formale e sostanziale, l’ordinanza del Sindaco di Taranto avverso lo stabilimento siderurgico ad oggi Arcelor/Mittal, oggi ci impone una riflessione nuova ma forse non inedita. Almeno non per noi che sia dentro che fuori quella fabbrica, da sempre, proponiamo di ripartire dal singolo operaio per vedere la questione da una prospettiva più veritiera e se vogliamo più contingente.
Il Governo, compreso l’attuale Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani che potrà certamente dare una mano, dovranno riconsiderare il tutto, dunque, partendo da un particolare non trascurabile: Taranto.
Non solo la fabbrica strategica, non solo la produzione d’acciaio, non unicamente i contratti e le penali, ma soprattutto Taranto e i tarantini, quelli che ci lavorano nella pancia del siderurgico e quelli no.
Lo diceva anche lo stesso neo Ministro del Governo Draghi, nelle sue rubriche di approfondimento su un notissimo giornale a tiratura nazionale: “in modi diversi, l’inquinamento dell’aria impatta sulla perdita del benessere globale”.
Una contaminazione che costa circa 5.100 miliardi di dollari e incide in termini di cure quasi il 6.6% del PIL mondiale.
La sentenza del TAR, a prescindere dunque dalla definizione giurisprudenziale di eventuali gradi successivi, parlando dei “cittadini che rimarrebbero a rischio cancerogeno” mostra, non solo un cambio di sensibilità della magistratura amministrativa che probabilmente si evolve seguendo anche il pensiero sociale e l’attenzione del mondo verso l’ambiente, ma costringe a cambiare radicalmente il punto di osservazione da cui ripartire per affrontare l’ormai annosa vertenza. Punto di osservazione che è Taranto, come luogo fisico e come comunità, come “territorio” si sarebbe detto con un termine forse abusato ma poco praticato in questi anni.
Rivedere il modello di produzione, di consumo energetico, di sviluppo non è “solo” sostenibilità ambientale, ma salvaguardia di un eco-sistema composto principalmente da uomini e donne che come ci ha tristemente insegnato questa pandemia, hanno bisogno della loro salute, della sicurezza nei luoghi di lavoro, per tornare ad essere attivi, produttivi e felici.
Ecco perché come CGIL dopo aver invocato per anni trasparenza sui processi decisori che hanno riguardato non solo il piano industriale ma anche il famoso addendum ambientale, oggi torniamo a chiedere centralità per Taranto chiedendo politiche nazionali adeguate ma anche di tornare al territorio, a quel punto di osservazione territoriale a cui le politiche di lavoro, ma anche di benessere sociale, vanno declinate.
Perchè se c’è una impresa che si aggiudica un contratto promettendo investimenti, ammodernamento o ambientalizzazione, non c’è crisi dei mercati che possa cancellare la responsabilità che deriva dal rischio di impresa. Rischio che ancora una volta non potrà essere pagato da quel fronte estremo che si chiama Taranto.