Diminuiscono i depositi bancari ma aumenta la raccolta indiretta. Famiglie a caccia di rendimenti per proteggersi dall’inflazione
LECCE – Da giorni circola la notizia di una forte riduzione dei risparmi delle famiglie.
L’Ufficio studi della Cgia ha recentemente diffuso un report secondo il quale i depositi bancari degli italiani sono diminuiti di oltre 25 miliardi di euro in un solo anno (da marzo 2022 a marzo scorso). Nel documento si sostiene che sia uno degli effetti economici «che ha colpito il nostro Paese a seguito dell’aumento dei tassi di interesse», con l’obiettivo di «raffreddare il caro prezzi».
La «sforbiciata», viene così definita, di ben 25,3 miliardi di euro «ha alleggerito il conto corrente degli italiani» che scende dai 1.162,9 miliardi di euro di marzo 2022 ai 1.137,6 miliardi di marzo scorso (elaborazione Ufficio studi Cgia su dati Banca d’Italia).
Come sappiamo, l’inflazione, quando è elevata, riduce il valore reale che equivale al potere d’acquisto, ma non può arrivare a comprimere il valore nominale.
Quando si vive in un clima di incertezza, infatti, si consuma e si investe di meno. Di conseguenza, aumenta la propensione al risparmio, com’è accaduto negli ultimi anni segnati dalla stagnazione economica alternata alla recessione, seguita dalla pandemia prima e dal conflitto ucraino poi.
Con l’impennata dell’inflazione, però, gli italiani hanno deciso di investire i propri soldi in strumenti finanziari più remunerativi, seppur più rischiosi, rispetto ai conti correnti, al fine di proteggersi dal caro vita.
Così, mentre i tassi attivi sui conti correnti restavano e restano tuttora al di sotto dell’uno per cento, è cresciuta la raccolta indiretta delle banche che rappresenta l’attività di investimento e di distribuzione di azioni, fondi comuni, titoli di stato, polizze assicurative, fondi pensione, eccetera.
Se prima gli italiani avevano assunto un atteggiamento fortemente prudenziale con i propri risparmi, lasciando tutto o quasi sul conto corrente, ora si sono visti quasi costretti a comprare prodotti finanziari, con l’obiettivo di ottenere un rendimento maggiore.
La conferma arriva dall’andamento della raccolta indiretta degli istituti bancari e degli intermediari.Nello stesso periodo preso in esame (da marzo 2022 a marzo scorso) la raccolta indiretta è salita da 784,6 miliardi di euro a 834,8. L’incremento è stato di ben 50,2 miliardi, pari al 6,4 per cento in più.
Un tempo si investiva poco, non tanto per mancanza di liquidità, quanto per non mettere a rischio i propri risparmi. Si guardava con maggiore apprensione alle oscillazioni del mercato e degli indici borsistici, temendo la perdita di valore degli strumenti finanziari, a causa dei rendimenti talvolta negativi o semplicemente insufficienti a coprire almeno le relative commissioni di collocamento, amministrazione e gestione.
Senza dimenticare che l’intervento dello Stato in alcune crisi bancarie, con il conseguente azzeramento dei titoli in portafoglio, aveva profondamente cambiato l’approccio degli italiani verso la finanza, segnando la vita di tanti piccoli risparmiatori ed aumentando l’avversione al rischio. Fenomeno che andava osservato da più punti di vista per comprendere le scelte delle famiglie che hanno preferito tenersi la liquidità, «parcheggiandola» su conti correnti o di deposito, a fronte di remunerazioni minime o persino del tutto assenti. Questo atteggiamento eccessivamente prudenziale, se portato avanti ancora oggi, si tradurrebbe non solo in potenziali perdite di profitto, ma soprattutto in forti perdite del proprio potere d’acquisto, oltre a non contribuire alla crescita del Paese e del suo sistema produttivo, in quanto le imprese si finanziano grazie ai mercati finanziari.
Non va neanche dimenticato che la maggiore liquidità è stata anche una conseguenza delle misure espansive e i conseguenti bonus a pioggia al fine di contenere la diffusione del nuovo coronavirus. La raccolta bancaria diretta non poteva che andare avanti a gonfie vele, tra lockdown, effetti diretti delle misure di sostegno alla liquidità introdotte a tutela di famiglie e imprese (decreto Cura Italia e successivi), oltre alle moratorie dei crediti e ai piani dilazionati di ammortamento favoriti dall’Associazione bancaria italiana (Abi). Ma oggi il vento è cambiato.
Osservatorio Economico Aforisma