Solennità dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato: messaggio alla città di Mons. Seccia
LECCE Il Salmista, cantore dell’amore benevolo di Dio, fa un triplice ricorso all’espressione “invano” per affermare che la casa, la città, il lavoro avranno consistenza solo se Dio benedice e sostiene gli sforzi umani. Dunque, senza l’intervento del Signore e alla luce del solo ingegno umano, ogni azione è destinata a fallire.
A volte, però, noi ci illudiamo nel pensare che il Signore intervenga nel mondo attraverso la “bacchetta magica”, oppure compiendo prodigi e favolosi miracoli a ogni piè sospinto.
Non è questo ciò che ci insegna la fede. Non è questo ciò che ci insegnano i nostri Santi Oronzo, Giusto e Fortunato che questa sera abbiamo seguito fisicamente in processione come pellegrini in cammino e che dovremmo imparare a conoscere meglio provando a imitarne la scelta di vita per il Vangelo e il martirio delle piccole cose? Il Signore ordinariamente interviene in ogni avvenimento della storia, attraverso quegli uomini e quelle donne che, accogliendo la sua Parola e vivendo del suo Vangelo, diventano luce del mondo e sale della terra. È valso per loro tre; vale per ciascuno di noi. Così, madre Teresa di Calcutta poteva dire di essere “matita nelle mani di Dio”, e sant’Agostino affermava che: “Quel Dio che ti ha creato senza di te, non vuole salvarti senza di Te”.
Detto con parole semplici: il Signore è alla continua ricerca della collaborazione degli uomini. Desidera ed invoca la mia, la tua collaborazione!
Egli, però, nel richiedere collaboratori solerti, creativi, generosi, non si lascia vincere in bontà. Infatti, ci assicura il suo sostegno, la sua luce, la sua forza, il suo amore, finché non portiamo a compimento l’opera intrapresa.
Sotto questa luce della fede, è oggi possibile per me, Vescovo e Pastore di questa Chiesa locale che è in Lecce, ribadire con forza che: è vano affrontare le sfide comuni come se fossero un’impresa individuale; è inutile pensare di risolvere i problemi di una città ricorrendo sempre allo scontro e alla polemica verbale; è velleitario pensare di amministrare un territorio senza un progetto e un’idea condivisa di bene comune; è illusorio, infine, ritenere che i problemi quali la denatalità, l’educazione dei figli, il disagio giovanile, l’emergenza abitativa per le giovani coppie non siano una questione che ci riguarda e coinvolge tutti.
L’attività umana non basta a sé stessa, se non è indirizzata al “bene comune”, nella luce della fede. Nel corso della Visita pastorale, ho intravisto innumerevoli “volti” di persone che si spendono per il “bene comune”: da coloro che lavorano nel volontariato fino alle diverse forme dell’associazionismo cattolico; da coloro che si impegnano ogni giorno per il servizio ai poveri fino a quelli che, come imprenditori, hanno cura di far crescere collaboratori e si spendono nella solidarietà. Come non pensare poi agli educatori, agli operatori sociali, ai consultori familiari e a chi si occupa dell’integrazione degli immigrati.
La Comunità civile dovrà sempre meglio saper investire le proprie energie sulle strutture sanitarie, sulle disabilità, sul contrasto alle diverse forme di dipendenza e sul recupero e la riabilitazione di coloro che sono in carcere. Anche la lotta contro la criminalità non può risolversi esclusivamente nella repressione, ma deve contemplare anche strumenti efficaci di prevenzione, sia in ambito educativo, sia in campo sociale. Tra i tanti che si spendono per compiere il bene, mi sia permesso di sottolineare il lavoro silenzioso di numerosi sacerdoti che si impegnano per la crescita della comunità e per l’annuncio del Vangelo. Quanto sono grato ai miei presbiteri! La Città tutta è chiamata a esprimere gratitudine verso queste “sentinelle del bene”, che aiutano i poveri, visitano gli ammalati, sostengono i vacillanti, ascoltano gli oppressi e si spendono per il servizio al Signore. I sacerdoti, però, non devono essere lasciati soli, ma l’intera comunità cristiana è chiamata a condividere con loro questo anelito al rinnovamento della nostra Città. Il cammino sinodale, ormai giunto alla fase sapienziale, sta iniziando a dare i suoi primi frutti, mettendo la Comunità diocesana in cammino verso un orizzonte, caratterizzato sempre più dalla partecipazione e dalla comunione. D’altra parte, la testimonianza del martirio dei nostri Patroni ha una eloquenza straordinaria. Oronzo, Giusto e Fortunato, pur avendo esperienze di vita differenti, sono stati accomunati dallo stesso destino. Essi non hanno parlato di comunione, ma l’hanno vissuta, perché “comunione” non è una semplice parola, ma è testimonianza e dono di vita.
Dinanzi alla crisi permanente di oggi, per affrontare le nuove sfide della fase post-pandemica, è necessario scommettere sulle positive potenzialità di quegli uomini e donne che ricercano non gli interessi di parte, bensì quelli della collettività, e innestare processi che favoriscano le relazioni interpersonali e contrastino il male della deresponsabilizzazione. Senza la cura nelle relazioni, la vita umana si impoverisce smarrendo pezzi preziosi di realtà, perdendosi nell’incuria e nell’indifferenza. E senza relazioni sane, non è possibile vivere in autentica e vera comunione.
A questo proposito, mi si permetta di far riferimento allo smodato utilizzo dei social media, e ai tanti rischi presenti nella convulsa navigazione nell’etere. Vedo sempre più che le giovani generazioni hanno come migliore e, a volte, persino unico amico, il cellulare. Esse vengono assorbite a tal punto dalla vita virtuale da perdere il contatto con la vita reale. Sembra che le persone valgano a partire solamente dai “like” che ricevono sui loro post oppure dai “followers” che li seguono nei vari canali social. Al fine poi di raggiungere i loro scopi e avere più seguaci in “rete”, esse spesso si spingono a pubblicare foto, immagini, video quanto meno di cattivo gusto, se non proprio volgari e violenti. Sembra che siamo divenuti schiavi di un “sistema virtuale” che noi stessi abbiamo costruito per essere meglio connessi. In verità, questo sistema presenta gravissime falle, perché, invece di renderci più connessi e umani, ci sta rendendo disconnessi e disumani.
Davanti a queste sfide della post modernità, l’invito della comunità cristiana è quello di guardare dentro di noi e di riscoprire quell’altissima destinazione a cui il Signore non si stanca di chiamarci: la costruzione del Regno di Dio in mezzo alle case degli uomini.
Tale costruzione di una nuova civiltà dell’amore, fecondata dalla Parola di Dio, irrigata dalla vigile testimonianza, e resa fertile dallo spirito di comunione, ci è affidata sia come singoli, sia come comunità. Essa, però, non si può nemmeno immaginare senza la coltivazione della santità. Lo dico senza timore: Lecce ha bisogno di santi, Lecce ha urgente necessità di uomini e donne che si impegnino a servizio del bene comune per l’avvento della civiltà dell’amore. E oggi conviene far memoria dei nostri santi!
Quest’anno ricorre il centenario della nascita al Cielo di San Filippo Smaldone, il santo dei sordomuti e la perla del clero meridionale. Egli fu sacerdote instancabile che si prese cura dei fratelli e delle sorelle più bisognosi, con particolare riferimento ai sordomuti, i quali, nel suo tempo, non potevano nemmeno accedere all’istruzione e alla vita di fede a causa delle loro condizioni. Il Santo, invece, si adoperò per questa categoria di persone abbandonata a se stessa e insegnò a tutti a rivalutare la dignità di ogni uomo.
Inoltre, proprio quest’anno ricordiamo i 30 anni della scomparsa del Vescovo Tonino Bello, per tutti don Tonino. Quanto sono attuali le sue profetiche parole e le sue battaglie per un’Europa segnata dalla cultura della pace. Anche la nostra Città, nel suo piccolo, deve educare alla pace ed essere ponte
di pace. Il mio pensiero corre alla guerra in Ucraina e va alle tante vittime di questa “inutile strage”, che causa una sempre più crescente spirale di odio e violenza, e mostra fino a dove può giungere la mostruosità del peccato quando attecchisce nel cuore umano.
Quest’anno commemoriamo anche S.E. Mons. Raffaello Delle Nocche il quale, cento anni fa, fondò la Congregazione delle Suore Discepole di Gesù Eucaristico, ponendola a servizio delle famiglie più deboli e fragili e insegnando alle sue suore a recarsi nei paesi più sperduti per portare educazione religiosa, istruzione e spirito di famiglia. Mons. Raffaello, prima di essere Vescovo di Tricarico, fu sacerdote in questa diocesi di Lecce e, fin da subito, si fece valere per il suo animo di apostolo dei poveri.
Ci ha poi riempito di gioia l’annuncio della venerabilità di Don Ugo De Blasi, valente sacerdote, parroco e vicario generale della nostra Chiesa locale. Il suo illuminato esempio, la sua profonda dottrina, la sua fervente predicazione hanno formato intere generazioni di leccesi.
Permettetemi stasera, inoltre, di ricordare un ultimo nostro “santo”. Il Servo di Dio Nicola Riezzo di cui, alcuni giorni, fa abbiamo ricordato il 25° anniversario della morte. Non credo di averlo mai conosciuto di persona ma ho letto tanto di lui e ogni volta che mi reco a Squinzano nella chiesa matrice, passo dalla sua tomba semplice e sobria – proprio secondo il suo stile – e prego perché mi aiuti ad essere pastore secondo il cuore di Dio. Per me vescovo, rimane un esempio fulgido di umiltà e carità. Un discepolo del Signore che ha vissuto nella contemplazione del Mistero di Dio, sposando la povertà e l’amore evangelico verso tutti e verso gli ultimi in particolare. Una figura che la Chiesa di Lecce dovrebbe riscoprire e rivalutare non per una questione di aureole ma perché tutti abbiamo bisogno di comprendere che vivere per Cristo e per la sua Chiesa è alla portata di tutti.
Poi vi sono i santi e le sante della porta accanto, presenti in modo silenzioso, tra noi. Pur non venendo alla ribalta, sono proprio costoro ad alimentare la speranza in un mondo migliore, radicato nel rispetto reciproco e nella concreta solidarietà.
Infine, in questo tempo in cui tanti sono i visitatori che ammirano le nostre coste e i nostri monumenti, richiamiamo tutti alla cura del bello e alla valorizzazione di quanto i nostri padri ci hanno lasciato. Quest’anno, poi, l’impegno per la cura del creato si concretizza nella custodia dei nostri boschi e della nostra flora, virulentemente attaccata da criminali atti incendiari che hanno causato panico nella popolazione. È proprio vero che per distruggere un bosco ci vuole un attimo, ma farlo crescere ci vogliono anni!
Volgiamo ora lo sguardo verso i nostri Santi Patroni, che hanno bagnato il nostro territorio con il sangue della loro testimonianza. Essi ora continuano ad irrigare dal Cielo questo estremo lembo di terra e noi siamo chiamati a promettere il massimo impegno nella lotta contro ogni associazione
criminale, contro ogni discriminazione e nella diffusione di quei valori che abbiamo ricevuto e appartengono alle nostre comuni radici.
Maria Santissima, Vergine in ascolto, in preghiera e fedele esecutrice della volontà di Dio, ci assista in questo lavoro così impegnativo e Voi, Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, PREGATE PER NOI!